Oltre mille i partecipanti alla 36ma Marcia della Pace, che quest’anno si è svolta nuovamente in presenza, dopo due anni di pandemia: Caritas diocesane e regionale, diverse sigle del volontariato laico ed ecclesiale, istituzioni, giovani, scuole, le famiglie ucraine accolte nel territorio, tutti riuniti a San Gavino Monreale per invocare la pace e ricordare che “nessuno può salvarsi da solo” e che la solidarietà e la fratellanza sono le uniche risposte efficaci di fronte alle attuali crisi, segnate dalla guerra in Ucraina e dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria. Ad aprire l’iniziativa, organizzata dal Comitato promotore, insieme alla Delegazione regionale Caritas Sardegna, alla Caritas diocesana di Ales-Terralba, al CSV Sardegna Solidale, all’Unità Pastorale di San Gavino Monreale e al Comune di San Gavino Monreale, il vescovo mons. Roberto Carboni: «Non abbiamo voluto mancare a questo appuntamento, soprattutto in questa ora molto difficile per l’Ucraina, l’Europa, l’Italia, la Sardegna: un modo di testimoniare il nostro desiderio di pace, invocare il Signore e sottolineare la necessità di continuare in quell’accoglienza già attivata da molte famiglie nel nostro territorio, nell’attenzione alle necessità di tanti ucraini che soffrono. Dunque una buona occasione per metterci insieme e per rafforzare almeno uno scopo: quello di proclamare la necessità della pace e dell’accoglienza».
Dopo la fiaccolata silenziosa, il momento di preghiera e riflessione nella Chiesa di Santa Teresa del Bambin Gesù, con il saluto del sindaco di San Gavino Carlo Tomasi, che ha ricordato l’impegno in prima linea del Comune a sostegno della collettività, della Caritas e di tutto il mondo del volontariato «protagonisti a livello locale nella costruzione della pace e nella difesa del bene comune, in sinergia con le istituzioni».
Ancora, l’intervento di don Angelo Pittau, presidente del Comitato promotore che ha ricordato la sofferenza e l’atrocità provocate dai conflitti che nel corso degli anni si sono succeduti nel mondo, e quel desiderio di gridare e cercare la pace che ha portato alla nascita della Marcia, e al suo rinnovarsi ogni anno, con il desiderio di aprirsi verso l’altro, a iniziare dai contesti locali.
Sullo sfondo una comunità accogliente: «In questi mesi – ha detto il direttore della Caritas diocesana don Marco Statzu – molte persone si sono rese disponibili: famiglie, comunità parrocchiali, amministrazioni comunali, testimonianza concreta di una società generosa, che non si tira indietro davanti alla sofferenza. Oggi questi nostri fratelli e sorelle vivono in mezzo a noi e con noi, i bambini vanno a scuola, ricevono aiuto non solo materiale, ma anche psicologico e morale. Di fronte al male terribile della guerra non possiamo girare lo sguardo dall’altra parte, ma siamo chiamati a rinnovare l’apertura del cuore verso chi è costretto a fuggire dalla propria patria. Perciò continuiamo a invocare la pace e a camminare insieme per tracciare sentieri di pace anche nel nostro territorio, a partire dal lavoro, dai giovani, dalla scuola, dalla comunità cristiana tutta».
Ancora, le testimonianze di alcuni profughi ucraini accolti dalla Cooperativa Alle Sorgenti Progetto A, tra cui una coppia con otto figli: «Siamo grati per l’aiuto che riceviamo ogni giorno: qui siamo riusciti a superare la paura suscitata dalle bombe e a guardare avanti, anche se il nostro sogno è tornare nel nostro Paese»; ancora la voce di Tatiana, mediatrice impegnata accanto ai profughi: «Sono felice di poter aiutare chi arriva, e allo stesso tempo soffro per i miei parenti che si trovano lì»; infine, Laura, operatrice della stessa Cooperativa, in prima linea nell’accoglienza dei rifugiati già durante l’emergenza Nord Africa del 2011, ha ricordato il significato più profondo della pace, che non è «solo la speranza della cessazione dei conflitti, ma agire concretamente per il bene comune, un cambiamento radicale che implica l’assoluto rispetto della dignità della persona»