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Ozieri, bilancio positivo per la campagna di raccolta dei dispositivi per la didattica a distanza, promossa dalla Caritas diocesana in collaborazione con il Comune

Sulla didattica a distanza (DAD) e la sua sperimentazione forzata si è tanto disquisito – e ancora lo si fa – per tutta la durata del lockdown, soprattutto per l’impatto che questa nuova modalità di fare scuola ha avuto sulle famiglie, particolarmente quelle in difficoltà economica. Un tema ben noto anche alla Caritas diocesana di Ozieri: «Un bisogno passato fin dai primi giorni dell’emergenza dal Centro di ascolto – dichiarano gli operatori di via Azuni – e per cui ci siamo immediatamente mobilitati in sinergia con il Comune di Ozieri per una raccolta di dispositivi elettronici (computer, tablet o smartphone) da destinare ai ragazzi che non potevano vedersi esclusi, di punto in bianco, dal loro percorso formativo ma anche di inserimento sociale».

Con una campagna pubblicitaria combinata promossa su vari canali social, e a seguito di una costante interlocuzione tra i soggetti promotori, cinque degli otto dispositivi raccolti (alcuni non erano idonei a supportare le neonate piattaforme) sono stati donati ad altrettanti studenti previa opportuna formattazione, insieme ad altri due tablet acquistati e forniti in comodato d’uso. Fondamentale in questa fase, la collaborazione con gli insegnanti per la segnalazione dei beneficiari – anche orientati verso iniziative scolastiche per le richieste – che per la loro esperienza con le famiglie si sono rivelati in alcuni casi degli anelli di congiunzione imprescindibili, specie in condizioni di disagio economico-educativo. «Nella fase di monitoraggio circa il possesso di dispositivi idonei  – dichiara una rappresentanza degli insegnanti – ci siamo rivolti alla Caritas diocesana per ottenere dei device messi a disposizione dalla campagna benefica, che abbiamo reputato particolarmente efficace proprio per il suo carattere integrato tra due diverse istituzioni».

Un ruolo, quello dei docenti, che ha permesso di comprendere più intimamente le problematiche, anche collaterali, relative alle famiglie degli alunni, seppur schermate dai limiti di una didattica che non agiva più in presenza: problemi economici, perdita del lavoro (spesso sommerso), situazioni conflittuali tra genitori separati, acuite dal distanziamento sociale tra genitori e figli, scarsa partecipazione al processo di apprendimento dei bambini. «Il mancato possesso di mezzi idonei per la partecipazione alle attività – proseguono – ha aumentato le disparità tra gli alunni, svelando uno scenario in cui le problematiche socio-economiche e quelle relative alla didattica a distanza sono, a nostro avviso, intrinsecamente correlate e vanno di pari passo». Non solo per questa correlazione, ma anche per «un sostegno pratico che concorra alla realizzazione del successo formativo per tutti», una collaborazione fattiva tra Caritas e istituzione scolastica «sarebbe non solo utile, ma anche auspicabile: è innegabile infatti che ragazzi con situazioni di disagio economico, sociale e talvolta morale, anche nel processo educativo e didattico partano svantaggiati rispetto ai loro coetanei più fortunati» concludono, ipotizzando i possibili vantaggi di una partecipazione che vada oltre le emergenze come quella attuale.

Una prospettiva condivisa anche da Maria Antonietta Canu, professoressa ozierese con sede a Monti-Telti e volontaria presso la Caritas diocesana, che pur non registrando nel proprio Istituto particolari difficoltà circa la fornitura dei device (di cui lo stesso Comprensivo ha dotato gli studenti), conferma il ruolo fondamentale che la scuola ricopre nella rilevazione di bisogni latenti, non solo riguardo alle povertà materiali ma anche educative: come la preoccupante “analfabetizzazione informatica” che coinvolge inaspettatamente molti nativi digitali, abili fruitori dei social network ma non dei più comuni programmi di scrittura: «Sulla percezione delle situazioni familiari la DAD non fornisce un quadro reale da dietro una telecamera, sebbene dei disagi importanti sarebbero comunque riscontrabili qualora ci fossero – commenta –. Penso comunque che tali modalità d’insegnamento non siano del tutto negative, alcuni aspetti potrebbero essere valorizzati e costituire parte integrante dei futuri processi formativi per alunni e insegnanti». Una sfida che potrebbe trasformarsi in opportunità insomma, a patto che tutti gli studenti siano messi in condizioni di partecipare a questa rivoluzione digital-formativa, proprio come alla vita sociale e alla crescita civica a cui essa prospetta di educarli.

Viviana Tilocca