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La direttrice della Caritas diocesana Tempio-Ampurias indirizza una lettera a tutti i collaboratori Caritas, in occasione dell’apertura dell’anno della fede

Suor Luigia Leoni, direttrice della Caritas diocesana di Tempio-Ampurias, indirizza una lettera a tutti i collaboratori della Caritas della diocesi gallurese, in occasione dell’apertura dell’anno della fede.

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Mi piace scrivervi [afferma suor Luigia] proprio nel giorno in cui inizia l’anno della fede proclamato da SS Benedetto XVI allo scopo di celebrare i 50 anni dall’indizione del Concilio Vaticano II. Lo ha fatto con una lettera intitolata “porta della fede” con la quale ricorda come nella fede cristiana bisogna volerci entrare, evitando il rischio di dare quasi per scontato che la fede sia una specie di automatismo, un presupposto ovvio del vivere comune.
 Per i cristiani la fede non è un generico credere in Dio, in un Dio qualsiasi, ma in quello che ci è stato raccontato da Gesù di Nazaret. Ed è proprio perchè abbiamo conosciuto Gesù di Nazaret che possiamo parlare di una fede “che si rende operosa per mezzo della carità” di una fede che deve vedersi, che non basta proclamare a parole o in solenni liturgie. Una fede che deve dirsi attraverso l’esercizio della carità. Una fede che per essere autentica esperienza cristiana, ha sempre dovuto passare attraverso le strettoie di una carità impegnativa. Già, perchè se la parola “fede” è ambigua, lo è ancora di più la parola “carità” che nella storia degli uomini ha rischiato di essere stravolta da atteggiamenti deresponsabilizzanti, da visioni di corto respiro, dal desiderio di lavare coscienze impregnate di ingiustizia e sopraffazione.

Non possiamo accontentarci di qualche celebrazione anche bella ma dobbiamo lasciarci contaminare dall’umanità di Gesù, dal suo stile, dalla sua carità, ecco perché possiamo parlare di una “porta della fede” rappresentata dalla carità: perché la carità, prima che essere virtù nostra, è l’essenza stessa di Gesù, è il sangue che gli scorreva nelle vene, è il criterio che ha guidato le sue scelte e il suo modo di stare in mezzo agli uomini. Noi della Caritas non siamo certo migliori dei nostri fratelli e sorelle nella fede. Siamo, dice il direttore della Caritas Ambrosiana, certamente “più fortunati a motivo della risposta data alla vocazione che ci ha coinvolti e trascinati al servizio dei più poveri. Non per essere bravi operatori sociali a buon prezzo, ma per mostrare – col linguaggio delle maniche rimboccate e della vicinanza – a cosa conduce la conoscenza del mistero del Dio dei cristiani e attraverso quale porta si entra a contatto con questo mistero.
 In fondo il bello del cristianesimo sta proprio in questo: vi si può accedere attraverso porte diverse. La carità, quella di Gesù, vissuta con umiltà e perseveranza, può essere il primo passo verso una fede non ancora pienamente consapevole e matura. Ma deve essere il criterio di verifica per poter parlare di una fede cristiana autentica” […].