Quando entrò in vigore la Costituzione repubblicana, il 1° gennaio del 1948, all’indomani di una lunga e drammatica stagione storico-politica caratterizzata da una dittatura, da un conflitto mondiale, dall’occupazione nazista e da una lacerante guerra civile, il suo articolo 52 (“La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e nei modi stabiliti dalla legge”) non dava adito, ragionevolmente, alla possibilità di obiettare. Neppure in nome di quei legittimi principi di carattere filosofico e/o religioso che da sempre hanno animato il dibattito sul dovere di difendere la Patria, salvaguardando il diritto insito nella coscienza umana a rigettare (obiettare, appunto) l’uso delle armi e della violenza. Ci sono voluti anni di confronto acceso e vivaci polemiche (fra cui – una fra tutte – quella animata con grande sacrificio personale da don Lorenzo Milani), per far comprendere ad un’impreparata opinione pubblica e alla stessa comunità ecclesiale come sarebbe stato possibile difendere la patria (intendendo per patria anzitutto il “patrimonio” delle persone, delle comunità, e non solo i “sacri” confini nazionali) in modo diverso, con uno stile di servizio che considerasse prioritaria la costruzione di una cultura di pace, aperta al mondo e alle persone – a cominciare dalle più deboli -, piuttosto che l’arroccamento verso posizioni difensiviste, retaggio di secoli di violenze e diffidenza verso l’altro da sé.
Cultura della nonviolenza e obiezione di coscienza all’uso delle armi
Il 15 dicembre 1972, a seguito di un dibattito parlamentare assai rapido e nel pieno di un vero e proprio “caso umanitario”, con la reclusione di oltre 150 giovani obiettori di coscienza, venne approvata la cosiddetta legge Marcora (dal nome del primo firmatario). Fu una decisione storica, poiché a partire da quella data venne introdotta nell’ordinamento italiano la possibilità di rifiutare l’arruolamento nelle forze armate, aprendo le porte del servizio sostitutivo civile a migliaia di giovani. Una decisione che ha accomunato tantissime esperienze di giovani cristiani e che ha visto protagonista la stessa Chiesa italiana, a cominciare dalla Caritas che per prima – in ambito cattolico – firmò una convenzione con il Ministero della Difesa.
Dal martire cristiano San Massimiliano di Tebessa, che nel 295 d.C. pagò con la vita la sua ribellione all’uso delle armi impostogli dai Romani, al sacrificio eroico di Franz Jägerstätter (obiettore di coscienza al regime nazista, beatificato il 26 ottobre 2007 da Benedetto XVI) sono innumerevoli le testimonianze di obiezione di coscienza di giovani cristiani. Dalle dolorose vicende dei primi arresti di obiettori ad oggi molte cose sono cambiate: è venuta meno una miope stigmatizzazione che per lungo tempo ha accompagnato non senza dolorosi strascichi i giovani obiettori e le loro famiglie; si sono moltiplicate sensibilmente le positive esperienze di servizio civile ed è cresciuta una cultura di servizio al prossimo che è certamente debitrice di quella stagione di battaglie culturali.
Con la legge 15 dicembre 1972, n. 772, pertanto, veniva riconosciuto formalmente il diritto all’obiezione di coscienza e la possibilità di effettuare il servizio civile sostitutivo per motivi morali, religiosi e filosofici. Ciononostante, si trattava di una legge punitiva (8 mesi di servizio in più) e restrittiva (l’ammissione al servizio era discrezionale, dipendendendo da una commissione vincolata al Ministero della Difesa). Nacquero le prime associazioni di obiettori, che si unirono in seguito nella Lega Obiettori di Coscienza (LOC). Le richieste di obiezione di coscienza da parte dei giovani crebbero nel corso degli anni, giungendo fino a circa 70.000 nel 1998. Nel luglio del 1998 la materia venne finalmente aggiornata da una nuova legge (l. 8 luglio 1998, n. 230), la quale stabilì delle “Nuove norme in materia di obiezione di coscienza”. Con tale provvedimento venne riconosciuto il carattere di “diritto soggettivo” all’obiezione di coscienza (cessò pertanto l’elemento discrezionale previsto nella prima legge del 1972), venne paraficata la durata del servizio civile sostitutivo col servizio militare e fu aperta la strada alle prime esperienze di servizio civile all’estero. Dal 1° gennaio 2000 la gestione del servizio civile passò dal Ministero della Difesa alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, per mezzo dell’Ufficio Nazionale per il Servizio Civile.
Per quanti si accingono oggi alla libera scelta del Servizio Civile Nazionale deve essere ben chiaro, pertanto, l’intima connessione tra il servizio civile volontario e la storia dell’obiezione di coscienza.
L’obiezione di coscienza e le Caritas della Sardegna
La Caritas Italiana firmò la convenzione per il servizio sostitutivo civile degli obiettori di coscienza il 10 giugno 1977. Il 15 settembre di quello stesso anno i giovani Bruno Maggi (a Milano) e Alfredo Remedi (a Genova), vedendosi riconosciuta la loro richiesta di obiezione di coscienza, iniziano, per primi in Caritas, il loro servizio sostitutivo civile. Via via cresce in tutta Italia il numero delle Caritas diocesane che richiedono l’assegnazione di obiettori di coscienza. Anche in Sardegna le Caritas si fanno portavoce delle numerose richieste da parte dei giovani obiettori. Fu anzitutto la Caritas diocesana di Cagliari a fare richiesta di convenzione, seguita dalla Caritas di Sassari, di Ales-Terralba, di Nuoro, di Tempio-Ampurias e, infine, di Iglesias. Dopo diversi anni sono stati in centinaia a maturare un’esperienza di serivizio civile in qualità di obiettori di coscienza presso le Caritas sarde. Molti di questi obiettori hanno continuato a restare in contatto con la comunità ecclesiale e perfino con le stesse Caritas ove avevano prestato servizio.
Fino alla sospesione (e non abrogazione) della leva obbligatoria, avvenuta il 1° gennaio 2005 (con legge 23 agosto 2004, n. 226), e dopo l’ennesimo riconoscimento da parte della Corte Costituzionale del servizio civile quale strumento di difesa della Patria, con sentenza del 16 luglio 2004, n. 228, le Caritas convenzionate hanno garantito delle esperienze qualificanti di servizio presso diverse strutture (mense, ostelli, case di accoglienza, strutture per il recupero dei tossicodipendenti, ecc.), non facendo mancare mai delle qualificate proposte in termini di formazione, vita comunitaria, meeting e dibattiti fra obiettori, spesso coinvolgendoli in prima persona nel dibattito sempre attuale sull’obiezione di coscienza e sul nuovo modello di servizio civile, per il quale le stesse Caritas della Sardegna già coinvolte con gli obiettori avevano cominciato ad impegnarsi. Quel nuovo modello che nel 20o1 ha assunto la forma del servizio civile volontario.
Per ulteriori informazioni
Silvia Fenu
Referente del Nucleo Regionale Servizio Civile