Un’accoglienza di qualità deve essere sempre più caratterizzata dal ruolo inclusivo delle comunità: il tema al centro del seminario on line che sarà organizzato il 22 gennaio e coordinato da Oliviero Forti, responsabile delle politiche migratorie di Caritas Italiana.
Qual è oggi l’importanza delle comunità nel processo di accoglienza e integrazione?
Il coinvolgimento delle comunità nei progetti di accoglienza di Caritas Italiana si è rafforzato nel corso del tempo in modo spontaneo, facendoci capire come la qualità del servizio offerto non possa prescindere dal contributo delle stesse comunità nella loro accezione più ampia, dalle parrocchie, gruppi, associazioni fino agli enti locali e sindacati: non è solo una questione di contenimento dei costi ma soprattutto la possibilità di migliorare la qualità del servizio grazie al tessuto di relazioni. Questa accoglienza comunitaria è l’approccio ordinario che Caritas Italiana – attraverso le Caritas diocesane – porta avanti con successo nei suoi progetti, tra cui APRI, e anche nell’ambito dei corridoi umanitari.
Qual è oggi la situazione dell’accoglienza in Italia?
Da un lato la diminuzione, rispetto a qualche anno, fa degli arrivi ha permesso al sistema di accoglienza di non dover operare in costante emergenza; dall’altro, la situazione nei centri è stata messa sotto pressione dalla pandemia che, tuttavia – come è emerso da un monitoraggio effettuato con altre organizzazioni sul territorio nazionale – ha avuto un impatto residuale e nella maggioranza dei casi è stata ben gestita. È chiaro che il sistema è ancora frammentato, in costante evoluzione: gli ultimi decreti sicurezza hanno introdotto dei miglioramenti, ma – come abbiamo evidenziato al Governo – permangono alcuni problemi per chi è in attesa di ricevere uno status; attendiamo di capire come si svilupperanno le singole situazioni nel prossimo futuro.
Qual è l’impegno di Caritas Italiana sul fronte delle politiche migratorie?
Essa interviene non solo con un’azione di advocacy – chiedendo vie di ingresso in Europa legali e sicure – ma impegnandosi concretamente in questo senso e i corridoi umanitari ne sono una prova tangibile. La pandemia ha rallentato questi programmi ma non li ha fermati: lo scorso novembre abbiamo trasferito una cinquantina di profughi dal Niger in Italia, e tra qualche giorno torneremo lì per proseguire l’individuazione dei beneficiari; abbiamo inoltre già individuato gruppi di profughi che dalla Giordania sono pronti per venire in Italia appena la pandemia rallenterà. Rimangono dei “nervi scoperti”: la Libia, dove ci sono persone bloccate nelle carceri che non riescono a raggiungere l’Europa, e la rotta dei Balcani, dove i profughi che cercano di lasciare il campo di Lipa per proseguire il loro viaggio vengono fermati al confine dalla polizia croata (o subiscono respingimenti a catena da Italia, Slovenia e dalla stessa Croazia) e rimandati in Bosnia: Caritas Italiana sta distribuendo abiti caldi, cibo, legna da ardere per riscaldarsi. C’è bisogno di un’azione politica forte che preveda un’assunzione di responsabilità verso queste persone, molte delle quali hanno diritto alla protezione internazionale. Va aggiunto che Caritas Italiana è impegnata anche al di là degli interventi umanitari: cito la bella esperienza dei corridoi universitari nei quali sono coinvolte anche le Caritas di Cagliari e di Sassari.
Come si inseriscono in questo contesto le progettualità delle Caritas diocesane in Italia?
Le progettualità portate avanti dalle Caritas diocesane sono il pilastro di tutte le azioni promosse da Caritas Italiana: tali azioni mirano appunto ad accompagnare il lavoro straordinario delle Caritas che grazie alle loro competenze e risorse garantiscono un presidio fondamentale nei territori, punto di riferimento anche nell’elaborazione di politiche concrete: Caritas Italiana non fa mai mancare alle diocesi spazi di confronto perché è proprio dai territori che giungono le sollecitazioni e spesso anche le risposte che sul piano nazionale vengono trasformate in proposte al Governo per un reale cambiamento.
A cura di Maria Chiara Cugusi
(intervista pubblicata su Il Portico, settimanale diocesano di Cagliari, n. 3, 24 gennaio 2021)