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Attenti ai “nuovi volti dei poveri”: l’intervista a don Marco Pagniello

Il cammino sinodale come opportunità per rileggere il proprio operato alla luce delle tre vie indicate da Papa Francesco in occasione del 50mo di Caritas Italiana, l’impegno di fronte all’emergenza Ucraina e durante la pandemia. Sono alcuni dei temi affrontati dal direttore della Caritas nazionale don Marco Pagniello nei giorni scorsi nel capoluogo sardo per incontrare la Delegazione regionale Caritas e intervenire sulla “via della creatività” in occasione del percorso formativo organizzato dalla Caritas di Cagliari.

In che modo il cammino sinodale sta segnando il lavoro di Caritas Italiana?

Esso è un’opportunità per la Caritas per favorire l’inclusione di coloro che vivono ai margini: conosciamo le loro storie, e siamo in grado di accoglierli, coinvolgerli, farli sentire parte di una Chiesa che non giudica, sostiene e accompagna. Allo stesso tempo il Sinodo offre alle Caritas la possibilità di interrogarsi e capire se i servizi, le opere messe in atto ogni giorno partono dai bisogni reali dei poveri, se sanno offrire nuove vie, se parlano e annunciano il Vangelo. Con questo spirito, ci stiamo preparando al convegno nazionale a Milano (il prossimo giugno) per accogliere le nuove sfide, e continuare a essere voce dei poveri in un mondo che cambia.

Come possiamo farci guidare dalla “via della creatività”?

La creatività non è solo “fare nuove cose”, ma “fare nuove tutte le cose”: è uno stile di servizio, presenza che mette in conto anche il fallimento e l’umiltà di imparare da esso. Essa si libera dall’ansia di voler dare tutte le risposte, mette al centro il sogno, la buona notizia, cioè Gesù, e trova modi nuovi affinché le persone possano incontrarlo. Ciò significa superare la logica del “si è sempre fatto così” e avere il coraggio di osare. Una creatività che nasce dagli “ultimi”, capace di rinnovare le nostre comunità, consapevole, allo stesso tempo, della nostra storia.

A quali azioni ci interpellano le attuali emergenze?

Credo sia importante parlare non di “nuove povertà”, ma di “nuovi volti di poveri”, come quelli che durante il Covid hanno bussato per la prima volta alla rete Caritas, facendo esperienza di una comunità ecclesiale alla quale non erano abituati, o che non conoscevano: così la crisi diventa un’opportunità per annunciare con i fatti il Vangelo, ma anche per fare discernimento. La stessa crisi ucraina ci obbliga a discernere: l’accoglienza come prima risposta, senza dimenticare che ci sono altre emergenze, altre guerre, altri profughi di cui dobbiamo tener conto senza che nessuno resti escluso. Il discernimento ci porta a conoscere le cause, a informarci; a capire che come una guerra richiede un periodo di preparazione, così è per la pace: abbiamo bisogno di imparare a costruire la pace nel tempo.

Qual è l’impegno Caritas di fronte alla crisi Ucraina?

Il di più che portiamo nel sistema di accoglienza (oltre 5000 i profughi accolti dalle Caritas diocesane italiane) è il legame con le comunità, grazie a un modello sì diffuso, ma anche ragionato, organizzato, che non si ferma all’oggi, ma già guarda all’inclusione. Lavoriamo in rete con i ministeri, la Protezione civile, l’Anci per favorire la crescita dei luoghi di partecipazione a livello locale. Allo stesso tempo, siamo attenti alle Caritas di quei paesi che in Europa e non solo oggi sono più coinvolti nell’accoglienza, sempre con un occhio al futuro. Ogni guerra porta divisioni, dolore: una volta finita questa guerra speriamo quanto prima possibile , ci sarà da accompagnare il rientro di questo popolo nella sua patria, da ricostruire, da sanare, da avviare percorsi di riconciliazione, e noi dovremo essere capaci di parlare di perdono e misericordia.

(a cura di Maria Chiara Cugusi)