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Alluvione in Sardegna, Mons. Sanguinetti: ‘La Chiesa diocesana testimone del Vangelo dell’amore’

Le difficoltà materiali e psicologiche delle famiglie colpite, il ruolo della Chiesa diocesana che «ha saputo presentare il volto migliore di sé attraverso la testimonianza del vangelo dell’amore», il difficile ritorno alla ‘normalità’. Mons. Sebastiano Sanguinetti, Vescovo della Diocesi di Tempio-Ampurias, traccia un bilancio della situazione post-alluvione nella zona più devastata dal tifone dello scorso 18 novembre.

sanguinetto

Eccellenza, com’è la situazione nella zona di Olbia?

«La situazione ha una duplice faccia. Una è quella di una città che ha cercato da subito e cerca ancora di riprendere il ritmo normale della sua vita. A un visitatore forestiero si presenta un apparente aspetto di normalità. Le strade sono state ripulite, gli esercizi commerciali, anche quelli che hanno subito gravi danni, hanno ripreso la loro attività. Molti laboratori tecnici e meccanici stentano invece a rimettere in piedi strutture e macchinari. Solo lungo le sponde dei canali da cui si è riversata l’incredibile quantità d’acqua si presentano ancora gli evidenti segni della devastazione. Ma l’altra facciata, poco apparente all’esterno, è quella dell’interno del gran numero di case interessate dall’alluvione, che non possono essere abitate. Oltre seicento, quelle dichiarate temporaneamente inagibili dagli uffici comunali. Ad esse ne vanno aggiunte almeno altrettante, che non possono essere abitate, per la distruzione delle suppellettili, degli impianti elettrici  e del riscaldamento… Tutte famiglie che vivono alloggiate da amici, parenti, e una parte ancora in albergo». 

Quale bilancio si può fare, oggi, dei danni, fisici e psicologici, arrecati alle famiglie?

«Il dato più terrificante è quello delle tredici vittime e delle loro famiglie. In termini economici, le stime approssimative avanzate dal Comune parlano di danni per circa 250-300 milioni di euro per la sola città di Olbia. Circa tre mila le case interessate dall’alluvione, metà delle quali non abitate o perché inagibili o perché prive del necessario per poter essere abitate. Circa 150 gli esercizi commerciali e produttivi danneggiati, senza contare i danni alle strutture e infrastrutture… Ben più difficilmente quantificabili sono i danni psicologici, di chi per ore ha vissuto il terrore della catastrofe, delle centinaia di persone, soprattutto bambini e anziani, che hanno visto la morte in faccia e sono stati salvati grazie alla straordinaria opera della Protezione civile e delle forze dell’Ordine, e soprattutto di volontari, vicini di casa, semplici cittadini che si sono prodigati in mille modi anche mettendo a rischio la propria incolumità. I bambini affidano soprattutto ai disegni le paure e le sensazioni di quei momenti. Tantissime le persone che stentano ad allontanare gli incubi vissuti e la disperazione per aver perso tutto o quasi. L’alluvione, inoltre, ha colpito la città e il territorio  già seriamente provati dalla crisi economica generale e da un alto tasso di disoccupazione. Molte le famiglie che hanno un reddito precario o insufficiente e altre che non ne hanno affatto, e ora devono anche provvedere al recupero dei danni subiti dalla case. Fra le varie richieste che emergono vi è proprio il supporto psicologico per molte persone».

 È possibile fare un bilancio delle offerte raccolte dalla Caritas diocesana/Diocesi?

«Impossibile quantificare la montagna di aiuti materiali (vestiti, generi alimentari, beni di prima necessità, quali materassi, brande, coperte, materiale per la pulizia…),  che sono stati fatti confluire all’unico centro di stoccaggio predisposto dal Comune, e assegnati ai due centri di distribuzione presso le Parrocchia della S. Famiglia e di S. Michele Arcangelo. A un calcolo approssimativo, le offerte in denaro sinora giunte alla Caritas Diocesana, si aggirano intorno a 250.000 euro. Ad esse vanno aggiunte le somme che la Diocesi destinerà a questo scopo dai fondi dell’Otto per Mille. Altro servizio importante è quello dei 40 deumidificatori messi a disposizione dalla Caritas Ambrosiana, che finora hanno deumidificato circa 200 appartamenti».

In che modo si cercherà di delineare i bisogni e le priorità a cui destinare i fondi stanziati dalla Caritas Italiana e dalla CEI?

«Fin dal primo momento abbiamo costituito presso la casa vescovile di Olbia il Centro di coordinamento diocesano, che grazie all’azione della nostra Caritas Diocesana, delle Parrocchie Cittadine, con il supporto di Caritas Italiana e del coordinamento regionale, ha svolto un provvidenziale e indispensabile servizio per l’emergenza e di costante raccordo con l’unità di Crisi e con l’amministrazione comunale di Olbia. Nelle ultime settimane una nutrita squadra di nostri volontari ha quasi ultimato la visita a tutte le famiglie colpite dall’alluvione, per un accurato censimento dei danni subiti e dei bisogni, sulla scorta di un dettagliato schema fornitoci dalla Caritas Regionale. Questa straordinaria esperienza di prossimità, di contatto personale e di ascolto, in nome e per conto della Chiesa diocesana, molto apprezzata dalla gente, ha fornito uno spaccato preciso sia delle devastazioni materiali sia di quelle psicologiche. I dati raccolti, saranno ora incrociati con quelli in possesso del Comune e serviranno per stabilire le priorità degli interventi, sulla base delle disponibilità dei fondi».

Quali saranno le prossime azioni portate avanti dalla Chiesa sul territorio? In particolare, a quali interventi specifici sarà destinato il Fondo della solidarietà, istituito grazie alla collaborazione delle parrocchie?

«Il Centro di coordinamento continuerà nei prossimi mesi la sua attività, con l’apporto di alcune persone che vi lavoreranno a tempo pieno, per accompagnare le famiglie nel percorso di progressivo rientro nelle propria abitazioni e di ripresa di una vita normale. Priorità assoluta dalla Diocesi e dalla Caritas sarà data al sostegno alle famiglie perché possano rientrare quanto prima nelle proprie abitazioni. Saranno fatti confluire a quest’obiettivo sia i fondi in denaro, sia le forniture di materiali e suppellettili assicurate da diverse ditte. Tuttavia, si presterà attenzione, nel limite delle disponibilità. anche alle realtà produttive e lavorative. Insieme alle somme messeci a disposizione dalle parrocchie, dalla CEI e da Caritas Italiana si attiveranno anche progetti del “prestito della speranza” e “microcredito”, grazie al supporto e all’esperienza già maturata in questo campo dalla  Fondazione Diocesana SS. Simplicio e Antonio».

Quale ruolo avrà, nello specifico, la Caritas locale nella più ampia presenza territoriale della Chiesa?

«Come è stato fin dal primo momento dell’alluvione, la Caritas Diocesana continuerà ad avere il compito di coordinamento  di tutti gli interventi della Diocesi e delle parrocchie cittadine, nonché  di raccordo con le altre istituzioni, perché gli stessi siano debitamente mirati, senza dannose sovrapposizioni o confusioni».

 Come sta procedendo il coordinamento con la Protezione civile e con le altre istituzioni/associazioni/realtà locali?

«Le immancabili deficienze dovute alla concitazione dell’emergenza, alla mole di problemi e al coordinamento di un volontarismo tanto generoso, quanto improvvisato, ci ha guidati fin da subito una chiara determinazione: il massimo coordinamento con le diverse Istituzioni in campo. E debbo dire che in questo sono stati fatti dei passi significativi. Speriamo che ciò possa continuare anche per le fasi successive, che, purtroppo, non saranno brevi».

Cosa l’ha colpita, in modo particolare, di questa esperienza?

«In sintesi posso riassumere attorno a tre punti la mia personale esperienza. Il primo: un dolore indicibile davanti ai morti, alle immagini di distruzione e devastazione, al terrore e  disperazione della gente. Il secondo: nel buio della catastrofe, è brillata la straordinaria luce della solidarietà, la generosità dimostrata attraverso mille gesti, piccoli e grandi, da ogni parte d’Italia, la sterminata schiera di volontari, soprattutto giovani, il senso di prossimità e di vicinanza che i cittadini olbiesi hanno saputo dimostrare aprendo le loro case a chi non ce l’aveva e prestandosi in mille modi per alleviare i disagi dei più sfortunati. Il terzo: la volontà degli olbiesi di reagire e di non soccombere allo scoraggiamento. Da ultimo, ciò che mi riempie di intima soddisfazione è l’aver constatato che la Chiesa Diocesana, con i suoi sacerdoti, religiosi/e, laici e organizzazioni, ha saputo presentare il volto migliore di sé attraverso la testimonianza del vangelo dell’amore».

 

(Intervista di Maria Chiara Cugusi)