Il ruolo della Chiesa, le difficoltà delle aziende devastate dall’alluvione, il forte rammarico per la mancanza di un intervento concreto da parte dello Stato. Mons. Giovanni Dettori, Vescovo della Diocesi di Ales-Terralba fa un bilancio della situazione post-alluvione, un’esperienza “disastrosa, ma anche costruttiva”, che ha mostrato «una solidarietà ben rafforzata dalla fraternità che non si ferma all’emergenza ma continua sempre in un caloroso e fraterno aiuto».
Eccellenza, com’è la situazione nelle zone più colpite della Diocesi di Ales-Terralba?
«Devo dire che lo Stato è completamente assente. Nei nostri centri non si è ancora visto un euro! La salvezza è venuta dall’alto, da un volontariato generoso e pieno di amore. Si spiega se è venuto dall’alto. La Caritas sta facendo miracoli. Ci si accorge che non si può arrivare a tutti: abbiamo fatto la scelta di aiutare le famiglie che hanno perso tutto l’arredo della cucina, tutti gli elettrodomestici e, in parte, anche letti e arredi delle camere da letto. Dopo i primi urgenti interventi per preparare cibo, acqua, coperte, materassi, abiti, ora la difficoltà è maggiore perché si tratta di fornire attrezzature da acquistare. Tuttavia le Comunità parrocchiali si sono mosse e hanno aiutato sostanzialmente il 50% delle famiglie».
Nei giorni scorsi, durante la Marcia della Pace, proprio da Terralba è stato lanciato un importante messaggio di speranza: come farne tesoro e applicarlo nel territorio, ancora sofferente e profondamente colpito dall’alluvione?
«La Marcia della Pace si è svolta a Terralba, uno dei centri più colpiti. Il messaggio pieno di speranza aveva due volti: la Chiesa nei Vescovi e Sacerdoti, lo Stato con la presenza dei Sindaci e di alcuni Onorevoli. Non basta dare un messaggio se questo è fatto di parole e non seguono i fatti. I giovani per tutta la mattina (erano circa 1200) si sono interrogati e hanno posto delle domande che vanno oltre la situazione. Si sono resi conto che il dialogo con Don Ciotti era ricco di esperienza e di fatti concreti in aiuto alle povertà di ogni genere. Hanno portato anche la loro esperienza vissuta nel volontariato a favore delle zone colpite dall’alluvione. La generosità è veramente giovane finché non viene deturpata dai loschi interessi degli adulti. La sofferenza non uccide ma suscita la generosità, il coraggio e la fratellanza».
Qual è, attualmente, il bilancio dei danni provocati dall’alluvione?
«Credo che sia ancora troppo presto per fare una verifica reale e credibile. Di fatto stiamo insistendo nella risposta alle prime necessità: senza una cucina, un frigo e una lavatrice le famiglie rimarrebbero dipendenti da altri. Rifornendo le famiglie dell’attrezzatura di prima necessità ci rendiamo conto che riprendono la vita normale e ritorna il sereno. Per ora non siamo riusciti a fare progetti e interventi sulle strutture: case demolite o inagibili … La situazione è sotto controllo. Ci sfugge (non abbiamo i mezzi per interventi significativi) la situazione delle aziende che hanno perso attrezzatura, bestiame e si trovano con terreno ancora non coltivabili. La stessa situazione riguarda la zona artigianale di San Gavino: tipografia, autofficine, laboratori artigianali, etc. I danni ammontano a vari milioni e non siamo in grado di programmare interventi».
È possibile fare un bilancio delle offerte raccolte dalla Caritas diocesana/Diocesi?
«Le offerte pervenute alla Caritas Diocesana dalle Parrocchie e da Privati cittadini ammontano a 30.000 Euro. La Caritas Regionale che ha ricevuto finanziamenti dalle varie Diocesi della Sardegna ha inviato alla nostra Caritas Diocesana la somma di 30.000 Euro. Non abbiamo ricevuto soldi da altri Enti, mentre sono arrivati generi alimentari, vestiario, coperte etc., da Enti, Parrocchie e privati. La solidarietà è stata straordinaria».
In che modo si cercherà di delineare i bisogni e le priorità, a cui destinare i fondi stanziati dalla Caritas Italiana e dalla CEI?
«Ora stiamo mettendo in azione le possibilità economiche della Diocesi e della Caritas diocesana sperando che arrivino dei fondi dalla CEI e dalla Caritas Italiana. Abbiamo comunicato a Roma i nostri progetti per interventi mirati, in primo luogo per le famiglie e per le loro abitazioni. Per il resto siamo in attesa di capire su quali finanziamenti possiamo contare. Ultimamente, non vedendo nessuna possibilità da parte dei Comuni, ci siamo attrezzati per fornire 10 generatori di corrente per dieci famiglie di Nomadi che vivono nei containers a San Gavino».
Quale ruolo avrà, nello specifico, la Caritas locale nell’accompagnare le famiglie in un ritorno alla normalità?
«È stato già messo in atto dalla Caritas Diocesana un itinerario di accompagnamento non solo economico ma anche a carattere psicologico per aiutare le persone traumatizzate che stentano a riprendere la normalità. Siamo disponibili anche ad eventuali altre richieste di aiuto da parte delle Comunità colpite: ora la ripresa risulta in salita sia per la necessaria disponibilità economica sia anche per incoraggiare le persone a non arrendersi e a riprendere le attività interrotte dall’alluvione. Chi ha perso la macchina, necessaria per andare al lavoro, oggi ha paura di indebitarsi ulteriormente per l’acquisto di un bene che apparentemente non è di prima necessità».
Quali saranno le prossime azioni portate avanti dalla Chiesa sul territorio?
«Le prossime azioni organizzate dalla Chiesa per ora rimangono progetti. La loro realizzazione dipende dai finanziamenti che riceveremo dai vari Enti, ecclesiastici e non, che hanno fatto promesse in merito ai danni subiti. Di fronte alle Aziende ci troviamo in difficoltà perché i danni ingenti superano le nostre previsioni di intervento. Ci fermiamo con realismo a “Piccoli Progetti Possibili”. È il nome di una Organizzazione ONLUS della Diocesi, il nome corrisponde alle nostre intenzioni. Non possiamo fare mega-progetti se non abbiamo la previsione di poter mantenere le promesse».
Cosa l’ha colpita, in modo particolare, di questa esperienza?
«L’esperienza vissuta in Diocesi possiamo definirla disastrosa ma anche costruttiva. Coloro che hanno subito danni rimangono marcati nella propria pelle: si tratta di un disastro improvviso e non prevedibili, almeno in quelle dimensioni. La reazione è stata quella di non arrendersi, di far fronte con tutte le forze per riparare i danni e rimettere in moto famiglia e lavoro. Mi ha colpito la generosità di tanti giovani del territorio e anche quelli arrivati da varie parti: non hanno badato ai sacrifici e hanno lavorato con impegno e gratuitamente per settimane. Hanno messo in evidenza la voglia di lavorare e la voglia di aiutare gli altri a darsi da fare. Rimane in tanti un senso profondo di gratitudine per l’aiuto ricevuto. Viene in evidenza anche la compattezza delle Parrocchie, che si sono sentite “famiglia” di coloro che hanno subito danni e di coloro che in qualche modo soffrivano. In circostanze simili la solidarietà si fa sentire, ma questa è ben rafforzata dalla fraternità che non si ferma all’emergenza ma continua sempre in un caloroso e fraterno aiuto.
Nel nostro territorio, da parte dello Stato non si è visto nessun finanziamento pubblico, nonostante i milioni di euro promessi alle famiglie e alle aziende che hanno perso tutto. La situazione già da anni precaria oggi è precipitata per cui non solo i giovani non trovano lavoro ma chi lavorava oggi si trova ridotto in povertà. Sono indignato. Per giunta abbiamo capito che anche le famiglie danneggiate dovranno pagare al più presto le tasse: gli aiuti non si sa quando verranno ma si sa per certo l’arrivo puntualissimo delle bollette. Ci troviamo di fronte a persone che hanno solo una preoccupazione, non perdere la poltrona, non perdere un grosso stipendio e ‘chi sta male si aggiusti’. Mi permetto di criticare aspramente questo fatto perché si tratta di una palese e vergognosa ingiustizia».
(Intervista di Maria Chiara Cugusi)